Omicidi in libertà – Pietro Maso torna libero dopo 22 anni
Pietro Maso che nel 1991 uccise i suoi genitori tornerà in libertà, dopo aver scontato 22 anni di carcere, il 15 aprile 2013. In effetti il giudice gli aveva comminato una pena di 30 anni e 2 mesi.
Ma tra la riduzione automatica della carcerazione e l’indulto Maso uscirà con otto anni di anticipo. E dopo aver goduto del regime di semilibertà.
Semilibertà che gli ha garantito anche un incontro con Fabrizio Corona. E le visite alla fidanzata. E il lavoro (lavoro che altri non hanno, naturalmente).
In carcere Maso, come Erika De Nardo, ha ricevuto migliaia di lettere di fan e di donne che si sono proposte come fidanzate, moglie, amanti. Il solito stuolo di fuori di testa, insomma.
Ma dicevamo, dopo Ruggero Jucker è la volta, quindi, di un altro omicida che sarà libero di andare in giro a vivere serenamente la sua vita. Tra l’altro con la coscienza (avendone una, naturalmente) a posto per aver scontato i propri peccati. La storia di Pietro Maso è molto diversa da quella di Ruggero Jucker. Ma è comunque interessante.
Maso, classe 1971, il 17 aprile 1991 con la complicità di tre amici uccise entrambi i genitori, Antonio Maso e Rosa Tessari. Perché? Per entrare in possesso dell’eredità. Insomma. Li ha ammazzati (prendendoli a sprangate) perché non aveva voglia di aspettare la loro naturale dipartita per diventare ricco.
Ricco alla maniera degli yuppies di certi trascurabili film, avete presente? Casinò, donne, auto, profumi e vestiti. Perché Maso, fin da subito, non si è dimostrato un genio. Ha abbandonato la scuola, poi ha lasciato un posto di commesso e un altro in un autosalone. Non aveva voglia di lavorare. Voleva divertirsi.
Così, non sapendo dove trovare i soldi, matura l’idea dell’eredità. Il duplice omicidio dei genitori è andato a segno dopo più di un tentativo. La madre, persona molto religiosa, aveva scoperto in cantina qualcosa che sembrava una bomba: due bombole del gas, una sveglia, luci intermittenti e la canna del camino otturata da vestiti.
La signora, però, forse volle credere al figlio che raccontava che erano tutte cose ammassate lì per caso. L’intento era quello di far saltare la casa. Ma fallì.
E non solo perché la signora Rosa era scesa nello scantinato, ma perché Maso aveva tolto le sicure dalle bombole ma si era dimenticato di aprire la valvola per far uscire il gas.
Che non è un genio, l’ho già detto. Qualche tempo dopo il giovane Pietro falsifica la firma di sua mamma su un assegno da 25 milioni di lire.
Assegno che consegna al suo amico (e futuro complice) Giorgio Carbognin che aveva chiesto un prestito per un’auto (una Delta integrale, e cos’altro?) ma poi aveva cambiato idea.
Peccato che non avesse restituito alla banca i soldi del prestito ma li avesse spesi insieme a Pietro facendo acquisti (no, non erano libri), andando al casinò e in discoteca. Per cui i soldi, a un certo punto, erano finiti. L’assegno doveva essere incassato prima che la signora Tessari si accorgesse dell’ammanco.
Altri due tentativi di omicidio vanno a vuoto (Carbognin delegato a pestare qualcosa di pesante sul cranio della mamma di Pietro, non trova il coraggio e rinuncia). Fino a quando la sera del 17 aprile 1991 Pietro organizza il delitto. L’idea è semplice. I suoi genitori sono andati a un incontro religioso dei neo catecumenali.
Li attende al loro rientro nascosto sulle scale che portano dal garage all’abitazione. Gli amici restano invece in garage. Appena Antonio scende dell’auto prova ad accendere la luce e scopre che manca la corrente così, al buio, si avvia al piano di sopra dove c’è il salvavita (ironico, no?). Pietro colpisce suo padre con una spranga.
Gli amici picchiano sua madre con padelle e bloccasterzo. I signori Maso non muoiono subito. Perché, come detto, loro figlio non è un genio. A Pietro non interessa che la morte sia veloce e indolore. E non sembra provare piacere infliggendo sofferenze. Per uccidere sua madre proverà prima a colpirla, poi a stringerle le mani attorno alla gola.
E, infine, le metterà del cotone in bocca per soffocarla e le chiuderà la testa in un sacchetto di plastica. Non proprio l’atteggiamento di un figlio devoto. Lo psichiatra Vittorino Andreoli chiamato a fare una perizia su Maso ha dichiarato che ha una personalità narcisistica. Basta guardare com’era vestito al processo.
Maso sembra anche un antisociale. La legge per lui sembra essere un fastidioso orpello. Non sembra provare rimorso o senso di colpa. Anzi si è anche domandato se, una volta fuori dal carcere, potrà finalmente mettere le mani sull’eredità. In fin dei conti è l’unica cosa per cui davvero, in vita sua, abbia fatto qualcosa.
Non si tratta di un romanzo e l’ironia è fuori luogo.
Ciao Marco,
hai perfettamente ragione. Vai a dirlo anche al giudice. :)