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Violenza sulle donne, una tragedia di famiglia

Foto di Adam Torgerson (Burbank, California, Westlake Village, 2007) – Smithsonian Magazine – 7th Annual Photo Contest (2010)

In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne (25 novembre) La 27a ora di Corriere della Sera ha pubblicato una gallery ripercorrendo i fatti di sangue del 2012 in cui le vittime erano donne.

Leggendo le loro storie, una dopo l’altra, non si può fare a meno di riflettere e di farsi una domanda: “Perché sono morte?“. La domanda, anche se appare facile facile, è lecita. E dopo di quella ne arrivano tante altre: “Chi erano?”, “Cosa facevano?”, “Chi le ha uccise?”.

Tentativi di risposta 

Le donne che sono state uccise in Italia dal primo gennaio al 22 novembre (giorno di pubblicazione della gallery) sono state 115. In molti casi, più della metà, sono state uccise da gente che conoscevano. Non solo. Da persone che amavano o che avevano amato.

In 48 casi su 115, ovvero per il 41,7% si tratta del compagno (marito, partner, fidanzato, convivente), mentre in 18 casi (15,6%) si tratta di un ex. Ma qui sarebbe opportuno fare la prima riflessione. Chi sono questi uomini? In molti casi sembrano persone che hanno problemi con la gestione della rabbia e della loro vita.

Ma ci sono anche i figli (12,1%) che uccidono le loro madri (figli spesso con problemi di droga e/o psichiatrici) e, spesso, sono donne anziane. In un caso è stata una madre a uccidere sua figlia (e suo marito).

I moventi

In 30 casi su 115 (26%) il movente è la lite, seguito da problemi legati alla separazione (20 casi, 17,3%). Ma sono anche parecchi (26%) i casi in cui il movente è ignoto oppure ha più sfaccettature: tradimenti, passioni non corrisposte, soldi che non ci sono, figli che crescono.

Ricondurre l’omicidio in famiglia a un solo movente rischia di portare su una strada sbagliata. Le famiglie sono meccanismi complessi, che hanno costantemente bisogno di essere oliati e revisionati, rivisti, corretti, aggiustati.

Le passioni

Le famiglie non sono perfette. Non possono esserlo: sono fatte di esseri umani che per loro natura sono, a dio piacendo (o a chi per lui), meravigliosamente imperfetti. Ed è l’imperfezione la molla che fa innamorare, che ci permette di accompagnarci a uomini e donne che parlano troppo, che la notte russano e che ci fanno arrabbiare.

La vicinanza fisica con un altro essere umano può rivelarsi un inferno: l’inferno sono gli altri come ebbe a dire Jean Paul Sartre (e dopo di lui Gil Grissom di CSI). Un inferno fatto di abitudini che non sopportiamo più, di tradimenti, di parole dette male, di ripicche e vendette.

I soldi e tutto il resto

In 19 casi su 115 il movente ha riguardato il denaro. In altri 6 casi si è trattato di pietismo: “Ti uccido perché non voglio più vederti soffrire”. Certo con il senno del poi (di cui son piene le fosse) e da fuori siamo tutti capaci di condannare: ma la solitudine è tremenda. E quando si è vecchi, stanchi e malati è ancora peggio.

35 vittime su 115 (30,4%) avevano un’età compresa tra i 61 e gli 80 anni, 9 vittime avevano più di 81 anni. In 14 casi su 115 omicidi è stato il figlio a uccidere la madre. In 10 casi sono stati ignoti, ovvero non si è trovato l’assassino. Poi ci sono i conoscenti e i colleghi di lavoro, 9 casi, e i parenti, 5 casi.

E c’è un altro dato macroscopico. L’omicidio in famiglia difficilmente resta irrisolto (a parte alcune eccezioni che restano sulle prime pagine dei giornali per anni). Di solito i coniugi si ammazzano a vicenda, i figli ammazzano i genitori e in qualche caso sono i genitori ad ammazzare i figli.

Le armi

Il colpevole che ha pianificato un delitto di solito ha ben presente che arma scegliere. Chi invece agisce di impulso quasi sempre afferra la prima cosa che gli capita a tiro oppure afferra la vittima per il collo e inizia a stringere.

In questi 115 il 17,4% delle donne è stata strangolata (con lacci, corde, foulard), strozzata (a mani nude) o soffocata (fazzoletto in bocca, cuscino sulla faccia), mentre nel 32,2% dei casi è morta accoltellata (una sola volta o trenta), nel 27,8% dei casi è rimasta vittima di colpi di arma da fuoco (pistola e meno spesso fucile).

In molti casi, soprattutto quando l’arma usata era impropria (per esempio il candelabro in bronzo, un sasso o un bastone), 11,3% dei casi, ci sono anche delle percosse (che invece hanno provocato, da sole, la morte del 6,1% delle vittime). In due casi il movente è ignoto. Fuoco, veleno, precipitazione e induzione al suicidio rappresentano un caso ciascuno.

Vicinanza geografica

Quando si vive gomito a gomito con qualcuno è più facile mancargli di rispetto. L’abitudine porta anche a questo. Ci sono quelli che si fermano dopo la mala risposta andata a segno e quelli che, normalmente, se ne escono con frasi tipo: “Taci, cretina”. O, anche: “Sei un incapace” (lei a lui, dato che non c’è l’apostrofo).

La violenza verbale è il primo passo. Poi arriva quella fisica, magari uno scappellotto, poco più di un buffetto, per arrivare agli schiaffi, ai pugni, agli strattoni. E alla fine, ai coltelli e ai tegami di rame. Le tragedie, perché non sono solo omicidi, sono tragedie, riguardano famiglie intere. E non solo la donna.

Stragi, duplici omicidi e suicidi

In due casi su 115 l’omicidio è stato, in realtà, una strage (più di tre morti). In un caso l’autore è riuscito a suicidarsi, nell’altro è stato fermato in tempo. In 22 casi su 115 si è trattato di un omicidio-suicidio. L’autore si è ucciso subito dopo aver ucciso la donna.

In 7 casi ci ha provato senza riuscirci. In altri 10 casi si è trattato di un duplice omicidio (la donna uccisa è stata uccisa insieme a qualcun altro, i figli, per esempio) e, in 3, l’autore si è suicidato. Un rapidissimo calcolo e le cifre lievitano: i morti di queste tragedie sono tanti, tantissimi (38 persone).

Perché, anche se a qualcuno non piacerà leggerlo (e ci sarà chi, ancora una volta, minaccerà e inveirà con violenza), sono vittime anche i carnefici. Vittime della solitudine, dell’ignoranza, di loro stessi. Dell’incapacità di andare oltre una seperazione.

Orchi, lupi e mostri?

Facile scrive uomo-orco. Ma davvero sono orchi? E le donne sono davvero tutte vittime? Sono morte, per cui sono sicuramente rimaste vittime di un omicidio. Ma in vita? Forse sarebbe più opportuno parlare di famiglie o di rapporti disfunzionali. Leggendo alcune storie si è messi di fronte a tragedie annunciate.

Gente seguita dai servizi sociali, povertà, problemi relazionali, figli contesi, nuovi amori (o nuovi amanti). Ma ci sono, tra queste 115 donne, anche le bambine e le ragazze rimaste incastrate tra padre o patrigno e madre. Ci sono le donne uccise per strada perché il loro uomo spacciava.

Ci sono le donne che di mestiere facevano quello più antico del mondo che, se da un lato funge da valvola di sfogo sociale, dall’altro resta pericoloso (soprattutto se si è in strada e da sole e non in un ambiente controllato e protetto. E legale) e i clienti che perdono la testa perché la loro virilità è messa in dubbio ci sono.

Principi azzurri e principesse

Come ultimo dato, così, tanto perché c’è e magari a qualcuno interessa, dei 115 omicidi il 18,4% è avvenuto di lunedì (I don’t like mondays, disse Brenda Spencer dopo aver fatto una strage), il 18,4% di giovedì, il 16,6% di domenica, 13% di martedì e il 13% di venerdì. Nell’11% dei casi di mercoledì e nel 9,6% di sabato.

I principi azzurri esistono per fortuna solo nelle fiabe. Gli uomini possono fare la spesa e pulire i pavimenti. Le donne possono guadagnare e fare carriera. E fino a qui nulla di nuovo. Per quasi tutti. Ma meglio insegnarlo ai bimbi delle scuole elementari. In modo che possano essere, in futuro, uomini e donne liberi e consapevoli.

E così, forse, potranno vivere felici e contenti. O almeno ci potranno provare.

Categorie:crimini
  1. Stefania Costi
    27 novembre 2012 alle 18:55

    Mi piacerebbe lanciare un messaggio, che possa raggiungere tutte coloro che direttamente o indirettamente, in tutto il mondo, stanno subendo ogni giorno, ogni sorta di violenza. Perchè non c’è soltanto la violenza fisica, che può arrivare (e non illudiamoci che sia un epilogo casuale o episodi che arrivano a colpire solo le più sfortunate…) fino alla morte. C’è anche la violenza psicologica e quella economica, che logorano il tessuto sociale delle donne e le isolano, portandole a credere che non esista altra realtà che quella che stanno vivendo. Esiste un’altra realtà. Esiste un altro modo di vivere, dove non c’è sudditanza ma dignità, la dignità che ogni donna (e ogni uomo) sulla terra merita di avere per sè e per coloro che ama. Perchè troppo spesso al di là dei volti delle donne che sono finite sui giornali per le loro tragiche sorti, ci sono altri mille volti di donne che soffrono, giorno dopo giorno, senza voce, senza pubblico. Donne che pensano che non si possa uscirne, che forse, forse è più comodo illudersi che vada tutto bene, che anche quell’ennesimo brutto momento si arriverà a dimenticare. A quei mille volti, a quelle tante, troppe donne, sto pensando in questo momento. E a tutti quei figli che faranno loro un modello di violenza che, a prescindere da tutto, condizionerà la loro vita. A volte basta solo un passo. Il più difficile che si possa pensare di fare, ma è davvero SOLTANTO UN PASSO!

    • 27 novembre 2012 alle 19:00

      Stefania, il tuo è un messaggio che dovrebbe davvero arrivare ovunque.
      Grazie.

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